Enrico Ganassi è nato il 20 settembre 1941 a Rondinara di Scandiano, Reggio Emilia dove ancora oggi vive e lavora.
Le sue opere si trovano in uffici pubblici, banche, chiese e collezioni private in Italia e all'estero.
Il suo studio è in via Braglia, 7
tel. 0522987170 - info@enricoganassi.it
Di Enrico Ganassi
20 settembre 1941. Erano brutti anni per nascere. Eppure io venni al mondo in quel finire d'estate, sulle rive di un torrente giacchè mio padre, a quell'epoca, era mugnaio nel piccolo paese di Rondinara. Molti ricordi di quel tempo sono confusi: non quel terribile roboante suono che lentamente si avvicinava e diventava assordante fino a passarti sopra facendo tremare tutto. Quel ricordo mi è rimasto nella mente, come un marchio indelebile.
Un giorno, eludendo la sorveglianza di mia madre (mio padre era in guerra), uscii di corsa per andare dalla zia Maddalena che abitava a pochi metri. Improvvisamente udii quel pauroso e assordante brontolio; rimasi impietrito a guardare il cielo, mi sentii afferrare e sollevare da terra. Era la zia, che di corsa mi portò nella vicina legnaia. Poco dopo arrivò anche la mamma, che mi abbracciò teneramente. Un pauroso boato seguito da un altro e un altro ancora scuotevano il nostro rifugio: i vetri cadevano frantumandosi sulla legna e sulle galline che sembravano impazzite. Infine sentii quel rumore terrificante allontanarsi; la mamma e la zia mi guardarono e sorrisero dolcemente. La mia maglietta era diventata una poltiglia rossastra intrisa delle uova che si trovavano dentro al grembiule della zia.
Anni Cinquanta. Mi ritornano nella mente anche i miei primi anni di scuola, quando la mia maestra, colpita dalla mia passione per le matite e i colori, mi chiedeva disegni di paesaggi e animali.
Anni Sessanta. A vent'anni una lunga malattia mi costrinse a rinunciare alle mie quotidiane escursioni a contatto con una natura ancora incontaminata. Così mi ritrovai chiuso in casa con una matita in mano: un falco, da me addomesticato, che mi osservava con aria preoccupata, ebbe l'onore di posare per il mio primo quadro. In quello stesso periodo iniziai a lavorare nell'ospedale psichiatrico di Reggio Emilia: fu così che l'ansia e l'angoscia penetrarono in me acuendo la mia sensibilità.
Un giorno di primavera, con il cavalletto, la tela e i colori, mi recai come facevo spesso lungo il Tresinaro. Mi fermai di fronte a una piccola cascata circondata da alti pioppi che lasciavano cadere lentamente i loro fiocchi bianchi simili a neve. Improvvisamente il mio sguardo si fermò su piccole onde che scuotevano l'acqua: erano pesci che, impauriti, si rincorrevano in una danza di morte. La mia mente si dibatteva tra i ricordi dell'infazia e la realtà circostante.
Anni Settanta. Poi vidi una mano d'uomo gigantesca che avanzava inesorabilmente distruggendo ogni cosa. Afferrai il pennello e con veemenza tracciai al centro della tela una linea spezzata: era nato il baratro che avrebbe accompagnato tutte le mie opere successive per molto tempo.
Il baratro era un avvertimento per l'uomo: abbandonare i valori fondamentali e continuare in questa corsa sfrenata ci avrebbe condotto verso il precipizio, verso la nostra autodistruzione.
Anni Ottanta. Lentamente un pensiero fisso si impadronì della mia mente: dovevo scoprire cosa c'era al di là della linea spezzata, trovare una risposta alle angosce e ai dolori dell'uomo. Mi avvicinai ai testi sacri rimanendo affascinato dalle profezie dell'apostolo Giovanni: vidi cieli, mari e mondi nuovi. Così per sette lunghi anni mi rinchiusi in me stesso dedicandomi all'illustrazione degli oscuri contenuti delle profezie dell'Apocalisse.
1990. Dopo questo lungo e impegnativo lavoro la mia mente sembrava essere vuota, ero convinto di essere alla fine di un percorso. Ho distrutto con rabbia molti dipinti e spezzato tele appena terminate ritenendoli insignificanti e nati già morti.
2006. Aumentava l'ansia dentro di me, odiavo i colori, le tele, i pennelli e nello stesso tempo non riuscivo ad allontanarmi da essi. Presi con la mano il colore e lo scagliai con forza sulla tela: mi allontanai osservando tutto ciò a lungo. Rimasi affascinato da quel che vedevo e pensai di aver trovato dentro di me ciò che cercavo: il caos. Cambiai radicalmente il mio modo di dipingere.
2008. Sentivo che anche questo percorso era concluso. Un giorno sfogliando un quotidiano fui colpito da un'illustrazione dell inferno dantesco; dannati ignudi correvano cercando invano di ripararsi dalla pioggia di fuoco che lacerava i loro corpi. Una profonda angoscia sotto le sembianza di una spada, mi colpii in profondità il cuore, scatenando cupi ricordi: mi ritrovai in quell'istituto psichiatrico dove lavorai per tanti e lunghi anni. Vidi occhi senza luce che scrutavano il nulla, volti devastati da un infinita irreversibile sofferenza, corpi che vagavano con passi lenti intorno ad una colonna al centro del salone formando un cerchio infinito. Un impulso irresistibile mi spinse dove custodivo l'opera del divino Poeta approfondendo gli studi sempre più angosciato, ma affascinato dai suoi canti; iniziai così ad illustrare il viaggio nell'oltretomba.